Porta Temporale

15 anni - La prima volta

La prima volta che aprii la "porta" avevo quindici anni: fu un'esperienza inconsueta e sorprendente, anche se, in fondo, non si era trattato di un evento proprio del tutto sconosciuto. Infatti, a dire la verità, quella porta l'avevo già aperta altre volte prima: una volta, la prima, davvero, avvenne quando avevo solo cinque anni, ma il racconto che avevo fatto di quella particolare esperienza ai miei genitori era stato interpretato come espressione della vivacità di un bambino di quell'età, che troppo spesso segue e insegue le sue fantasie, che galoppano come cavalli selvaggi, anche nella realtà. Così, io stesso, sospinto in questa convinzione da mio padre e, soprattutto, dalla mia trepida madre, avevo finito per credere a questa versione: in fondo, loro erano i miei genitori e chi, più di loro, poteva detenere il possesso della verità assoluta e della conoscenza? Chi meglio di loro mi conosceva e poteva dirmi che cosa fare e come distinguere una cosa dall'altra? Chi poteva, meglio di loro, indicare a un bambino di cinque anni, dove si trovava il sottile confine tra realtà e fantasia, tra sogno sognato e realtà fantasticata? É vero, infatti, che il bambino, soprattutto a quella età, quando gioca accende la sua immaginazione e crede, almeno un po', complice e vittima lui stesso della sua stessa fantasia, di essere il personaggio che sta impersonando nel suo - come diremmo oggi - gioco di ruolo, ma allora, ne sono certo, si era trattato di una cosa diversa, veramente molto diversa.

Fantino Temporale 1 - Inizio

Al di fuori di qualche amico intimo, con il quale scambiai qualche parola, tenni rigorosamente per me la storia di questi miei spostamenti temporali, consapevole che - se ne avessi parlato con altre persone - sarei potuto inevitabilmente apparire più strano di quanto già agli occhi della gente apparivo, per il mio pormi diretto con il mio interlocutore, senza intermediazioni “politiche”. Tuttavia, il dire qualcosa a qualcuno espone comunque alla sua divulgazione: se veramente vuoi che una cosa di te non si sappia non ne devi parlare con nessuno e nemmeno con l'immagine riflessa dallo specchio.

Quando venni reclutato dagli agenti del Governo Mondiale, fui, all'inizio, recalcitrante ad accettare quanto mi proponevano: sapevo benissimo che non potevano obbligarmi a fare alcunché io non volessi fare, ma essi, tuttavia, insistettero molto e furono anche molto persuasivi, soprattutto assicurandomi la massima libertà di scelta nel lavoro che avrei dovuto fare per loro e, non ultimo e meno importante, garantendomi un emolumento assai interessante per un lavoro che non avrebbe interferito granché con la mia vita quotidiana e che avrebbe richiesto la mia presenza per diciotto ore al mese, variamente distribuite a seconda di come si sarebbe evoluto il progetto che avevano in mente. Aggiunsero, anche, nella bozza di contratto che proposero alla mia attenzione - e che io mostrai subito al mio amico avvocato - che eventuali ore extra mi sarebbero state pagate ciascuna a una cifra che, a sentirla, mi girava la testa, poiché si avvicinava a circa la metà di quello che era l'emolumento per le diciotto ore lavorative mensili, il quale, dovete sapere, era già di per sé una cifra incredibile...